lunedì 23 aprile 2007

E' Morto Alberto Grifi


E' morto Alberto Grifi, padre selvaggio del cinema sperimentale italiano
E' stato l'unico, grande nome del cinema sperimentale italiano all'altezza di quelli di oltreoceano. Ha rivoltato il cinema tradizionale ma ha anche inventato dei dispositivi (il vidigrafo) destinati a diventare d'uso comune in cinema e in tv. Il suo capolavoro, Anna. è stato forse l’unico grande romanzo d’avanguardia degli anni ’70 che la letteratura italiana di quegli anni, pur teorizzando all’infinito sull’avanguardia, non ha saputo scrivere.
Quando l’11 marzo scorso salì sul palco all’Auditorium di Roma per il primo e unico riconoscimento ufficiale mai ricevuto da un’ istituzione, (il premio speciale della Festa del Cinema: Apollo 11 e la Cineteca di Bologna hanno condiviso l’iniziativa), Grifi non sembrava uno cui i medici, da diversi anni, davano pochi mesi di vita. “E’ così – disse come parlando di una stranezza stagionale o del carattere di un animale imprevedibile – a volte la malattia sembra concedermi poche ore e sono giorni terribili, poi, però, il mio corpo misteriosamente reagisce e allora mi sembra che tutto sia più o meno come prima”.
Chi era Alberto Grifi ? Più che normale chiederselo visto che da anni viveva totalmente emarginato dall'apparato dei media e in uno stato assai vicino alla soglia di povertà.Espressione originale e sincera del cinema sperimentale italiano e internazionale, Alberto Grifi ha costruito il proprio lavoro intorno a una continua ricerca sui mezzi tecnici e sui modi di fare cinema, spesso forzandone i limiti e le potenzialità al fine di perseguire un’idea di linguaggio del tutto fuori degli schemi convenzionali.Con queste premesse ha trasformato non solo l’immagine, ma anche l’apparato produttivo dello spettacolo, consentendo alle idee, le proprie e quelle di coloro che hanno beneficiato delle sue intuizioni, di svilupparsi e circolare liberamente, senza compromessi.Fin dalla prima apparizione della Verifica incerta, un dissacrante montaggio intellettuale di film classici americani, Alberto Grifi inventa una nuova grammatica visiva, provocatoria e in costante evoluzione. Memore della lezione di Zavattini, conosciuto in gioventù, si pone fatalmente dalla ricerca della ‘verità’ delle immagini, documentando la vita sociale italiana di almeno tre decenni: dal film Anna, girato in video, a preziose testimonianze come Parco Lambro o Michele alla ricerca della felicità, questo ultimo sulla condizione carceraria, retaggio dall’esperienza personale dell’autore (che trascorse due anni in prigione), tutte opere destinate a provocare disprezzo e censura in patria, tra le impettite istituzioni, ed entusiasmo nel mondo underground.La destrutturazione del linguaggio filmico continua con L’occhio è per così dire l’evoluzione biologica di una lagrima, in cui reinterpreta uno scarto di lavorazione di Deserto Rosso di Antonioni. Senza dimenticare i documentari didattici, l’attività come fotografo d’arte, come autore di campagne pubblicitarie e trasmissioni radiofoniche, fino alle collaborazioni con la RAI negli anni ’80. Ancora oggi era al lavoro su più tavoli: sperando che da qualcuno di questi scaturisse ancora qualcosa di nuovo e intentato.Quell'ultima volta, con Alberto, abbiamo parlato dei lavori che stava per finire, un documentario su una poetessa con la musica di Fresu che intendeva farci vedere per la Festa del Cinema del prossimo anno, della possibilità che i suoi film finissero finalmente in DVD, della stranezza di una vita alla periferia più estrema del cinema che ha rivoluzionato il cinema. Inventore del vidigrafo (la macchina che per la prima volta ha permesso di trasferire le immagini video su pellicola), Grifi non è stato solo il filmaker barricadero e oltranzista di Anna – forse l’unico grande romanzo d’avanguardia degli anni ’70 che la letteratura italiana di quegli anni, pur teorizzando all’infinito sull’avanguardia, non ha saputo scrivere - ma anche l’ultimo artigiano capace di portare l’inventiva solitaria del pioniere della pellicola dentro il ring asettico e tecnocratico dell’immagine elettronica. Un’era geologica prima dei reality show, Grifi, dopo aver contribuito a destrutturate come tanti altri insieme a Godard il linguaggio cinematografico tradizionale (i cortocircuiti inifiniti di senso del montaggio di spezzoni della Verifica incerta), scopre l’infinità del tempo del quotidiano, il cinema come pantografo delle fluttuazioni temporali, dell'effervescenza dell' umore e dell' indignazione, dell’ instabilità di ogni attribuzione di senso a qualcosa: un cinema fatto di inquadrature in perenne interazione con le intensità e le energie della vita. La quale, da par suo, provvede a sconfinare nel cinema sconvolgendone le regole: come quando sul set di Anna, uno degli elettricisti prorompe in una dichiarazione d’amore per la protagonista. La loro relazione occupa la parte finale del film. La fine di quel personaggio sarà ancor più atroce e cinematografica: morirà accoltellato in Campo dei Fiori mentre tentava di difendere qualcuno da un’aggressione, qualche anno dopo. L’immaginazione del cinema non è null a confronto di quella spietata della vita.Discendente di una famiglia di cinematografari, anticonformista e sovversivo per attitudine, capace di sopravvivere anche ad anni di carcere e all’oblio quasi totale dei media, Grifi ha tenuto testa anche ad una malattia lunga, penosa e devastante. Stavolta non ce l’ha fatta: ma alla prossima, di vita, ricomincerà daccapo. Come prima.
Mario Sesti

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