lunedì 11 maggio 2009

Angeli e Demoni difficoltà dalla chiesa romana


Chiunque tema di sentirsi offeso da Angeli e demoni non vada a vederlo. Anche per me ci sono film offensivi, non vedo le storie di tortura come la serie "Saw"». È la reazione di Tom Hanks alle proteste di personalità cattoliche, tra le quali il vescovo di Potenza Antonio Rosario Mennone, anni 103, contro il film di Ron Howard dal bestseller di Dan Brown, presentato ieri a Roma in prima mondiale alla stampa internazionale. La Sony, che distribuisce Angeli e demoni - in Italia dal 13 maggio in 800 copie e nel resto del mondo dal 15 - ha scelto Roma per l' evento perché il film è stato girato qui. Almeno in parte, visto che, ricorda Ron Howard, «dopo i primi giorni di riprese ci hanno negato molte location. Non mi aspettavo una collaborazione né di girare nelle chiese o nella Cappella Sistina, ma non credevo che l' influenza del Vaticano fosse così forte da impedirci di girare anche in luoghi esterni. Abbiamo risolto altrimenti, la frustrazione è che volevamo mostrare il film ad alcuni prelati, ma non hanno accettato. Lo criticano senza averlo visto». Del resto, secondo il regista, « Angeli e demoni non è anticattolico, è solo un thriller pieno d' azionee di tensione.È la prima volta che faccio un sequel, ma non potevo rifiutare un film in cui si intreccia l' antimateria con l' elezione di un Papa. Il Codice da Vinci era più fedele al libro, aveva un ritmo più pacato e il tema era più provocatorio nei confronti della Chiesa. Però quando parlo con i preti off records tutti ammettono che né il libro né il film hanno influito sulla fede dei credenti». Se pure San Pietro e quasi tutti gli interni sono stati ricostruiti a Hollywood, Roma in Angeli e demoni c' è, anzi il film è un grandioso spot per la città, dove il professor Robert Langdon (Hanks) è chiamato ad interpretare i segni dell' antica setta degli Illuminati, che hanno rapito i quattro cardinali papabili e minacciano la distruzione della città con l' antimateria rubata al Cern in Svizzera. Nel cast internazionale ci sono l' israeliana Ayelet Zurer (un scienziata), l' inglese Ewan McGregor (il Camerlengo), lo svedese Stellan Skarsgaard (capo della guardia svizzera), il tedesco Armin Mueller-Stahl (cardinale). Per l' Italia, oltre al prelato interpretato da Cosimo Fusco, c' è Pierfrancesco Favino, l' ispettore Olivetti che accompagna Langdon nella frenetica ricerca di risolvere il mistero dei segni. Tom Hanks conosceva Roma da turista, «ma stavolta ci sono rimasto quattro mesi e, girando tra chiese e monumenti, ho capito il potere del Vaticano, che non è solo una città di governo, ma una corporazione multinazionale con tanto di business, una specie di Toshiba». L' attore capisce «il fascino del mistero della Chiesa, della ritualità del Concilio, dei costumi dei cardinali. Ogni categoria ha i suoi costumi, a Washington i politici si vestono tutti nello stesso modo. E quando lavoravo come bellboy dovevo portare la giacca uguale a quella degli altri ragazzi». Figlio di «genitori che hanno divorziato più volte, ho vissuto in famiglie di varie religioni, tutte con la certezza assoluta della verità: per questo non riesco ad affidarmi a nessuna. Ma rispetto chi crede, mia moglie è grecoortodossa e i miei due figli sono battezzati», dice l' attore. Che è anche regista e produttore. «Non volevo stare alla mercè del telefono in attesa di un ruolo e ho cominciato a scrivere storie e sviluppare progetti. Adesso non sono più un uomo da affittare, ho una mia attività creativa». Attore da Oscar, Tom Hanks è anche una persona simpatica, ironica, generosa, lodato oltre che da Howard - «Con lui c' è un legame di complicità, da compagni di stanza al college» - da tutti quelli del cast. Senza difetti? «Da bambino rubavo la marmellata, finché mi hanno scoperto. A parte gli scherzi, non sono perfetto,è solo che evito di dire verità sgradevoli. E mi diverto a rispettare le regole: nel lavoro e nella vita». Le regole sono quelle di un democratico, convinto sostenitore di Obama. «I suoi cento giorni di governo sono niente rispetto ai problemi da risolvere. I presidenti in genere arrivano alla Casa Bianca e cominciano a realizzare il loro programma, nessuno si è trovato come Obama, costretto ad occuparsi di tante crisi dolorose e difficili. Per giudicare Obama e il suo programma dobbiamo aspettare». - MARIA PIA FUSCO Repubblica

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